Repubblica

Paolo Rumiz
13/01/2002
I morti del Carso

Un giallo con omicidio fa rivivere il mito della città

Non ci avrebbe scommesso nessuno. Anche senza l’ additivo del mito asburgico, anche lontano dalle nebbie della nostalgia, Trieste resta un oggetto di desiderio della storia e della letteratura. Riportarla alla luce dei fatti non era operazione facile: specie nel mondo di lingua tedesca, segnato fino alla nausea dai walzer del Mondo di Ieri. Ora è proprio questo che accade, col lancio di due opere «forti». La prima è Die Toten vom Karst (I morti del Carso), romanzo giallo di Veit Karl Heinichen in uscita in Germania e annunciato in grande stile dalla HanserZsolnay Verlag. Il libro parte da un orrendo omicidio rituale per sondare i segreti della destra estrema sul confine orientale. E’ una storia dell’ oggi, saldamente ancorata al luogo, ma capace di andare oltre la sua apparenza letargica. Un viaggio «underground», che già diventa filone dopo il primo poliziesco «triestino» dell’ autore, Date a ciascuno la sua morte, uscito nel 2001 con grande successo di vendite e di critica. E poi c’ è la memoria: il volume numero uno della nuova Storia economica e sociale di Trieste (Lint editoriale), dedicato ai gruppi etnici costituenti della cittàporto settecentesca. Prima rilettura «anglosassone», dunque fredda, di eventi che hanno surriscaldato fin troppo le memorie e la politica di frontiera, il 17 gennaio il libro scritto a più mani, curato da Roberto Finzi e Giovanni Panjek dell’ università di Trieste e attentamente seguito da Claudio Magris nelle fasi della sua gestazione affronta a pochi mesi dall’ uscita il suo collaudo più difficile, quello viennese, all’ Istituto italiano di cultura, con la presentazione di Grete Klingenstein, accademica d’ Austria e docente di storia all’ università di Graz. Opera diversissima dalla prima, ma segno di un analogo sforzo di guardare «oltre» il cliché di un luogo inchiodato e talvolta affezionato agli stereotipi di sé stesso. «Sento un interesse diffuso e crescente per la mia città» osserva Claudio Magris da Parigi, dove tiene un corso al Collège de France. «Non lo dimostra solo l’ enorme accoglienza riservata al primo libro di Heinichen. E’ qualcosa che va oltre lo spazio centroeuropeo. Tocca l’ Inghilterra, la Spagna, la Francia, il mondo scandinavo. Giorni fa un giovane scrittore canadese ha bussato alla mia porta a Parigi: anche lui preparava un romanzo ambientato lì». Magris cita Trieste, the Meaning of Nowhere, viaggio in Istria e nella VeneziaGiulia pubblicato tre mesi fa per la SimonSchuster a firma di Joe (ex John) Morrison, la scrittrice inglese nota per aver cambiato sesso e aver conosciuto la città come soldato, nel secondo, difficile dopoguerra. E poi, questa nuova storia di Trieste, scritta col contributo anche di austriaci e sloveni, che «non demolisce il mito ma ne cerca i supporti, guarda oltre il meltingpot, rifà la storia del tessuto umano scomponendo i singoli fili del tappeto». E’ un gran libro, sottolinea Magris, che «individua le tessere del mosaico per mettere meglio a fuoco l’ immagine complessiva». «L’ accoglienza che ha avuto il mio primo giallo spiega Heinichen nella sua casarifugio tra le rocce della costa adriatica orientale è dovuto anche al nome di questa città dove ho scelto di vivere e lavorare. Pochi la conoscono, ma tantissimi la immaginano, e questa curiosità diventa un fantastico motore di lettura. Dietro c’ è Joyce, Svevo, Magris. C’ è il lettore che ama Trieste perché la sente fedele a se stessa, risparmiata dalla modernità deteriore. Chi l’ ha vista di recente, poi, ne ha apprezzato lo straordinario cambiamento in meglio. Ma lo stesso lettore ha voglia di andare oltre, di cercare oltre la bellezza, di scavare dentro i suoi conflitti sommersi. Che sono impressionanti, articolati su più piani, e ricalcano una geografia complicatissima». E’ quanto fa Proteo Laurenti, l’ estemporaneo detective che, risolvendo il rebus del primo e del secondo libro, entra talmente in profondità da costruire un nuovo genere di racconto poliziesco. Quello che nel 2001 la critica tedesca ha salutato come «Giallo storicoculturale» («Kulturwissenschaftlicherkrimi»). Ed è un mistero che questo straordinario interesse internazionale non riesca a uscire dalla storia e dalla letteratura per trasferirsi sul piano dei traffici, riavvicinando Trieste al suo vecchio retroterra mitteleuropeo. Se scrittori «zingari», come il viennese Gunther Schatzdorfer, vivono con naturalezza da pendolari fra la capitale danubiana e il porto adriatico, la corrente della politica e degli affari tra le due città diminuisce. Secondo Hans Haider, che cura le pagine letterarie su Die Presse, l’ idea di Mitteleuropa ha esaurito la sua funzione utopica con la caduta del Muro. «Ora che quella chimera fantastica è diventata realtà, gli utopisti sono diventati di colpo gente sorpassata. Trieste ha perso il suo status esclusivo, la sua posizione unica. Paradossalmente, è diventata meno indispensabile». Figurarsi ora, con i nuovi venti euroscettici e autarchici che circolano attorno alle Alpi, da «Berlusconia» alla Carinzia di Joerg Haider. Non è facile, di questi tempi, far capire la grande lezione di Trieste, una città dove slavi, greci e turchi parlarono spontaneamente l’ italiano come lingua dei traffici. Paradossalmente, tali popoli lo fecero non perché obbligati a guardare a Roma come volle il fascismo ma perché capaci di navigare a Est, sulla scia di Venezia, verso il mare illirico e il Medio Oriente. E’ proprio quanto scopri nel volume storico di Finzi e Panjek. «L’ italianità di Trieste ghigna Finzi ha una base materiale e tuta levantina. Nasce dalla capacità di guardare ai Balcani». Lo vedi dai cognomi, dai documenti delle proprietà meticolosamente archiviati casa per casa e nelle mappe austriache settecentesche. Osserva Roberto Fiandra, direttore editoriale della «Lint»: «In Europa esistono poche città dove è possibile leggere così bene la storia fin dall’ inizio. Trieste come porto franco è nata per decreto imperiale e la città è cresciuta quasi dal nulla in pochi anni. Ma da allora tutto è perfettamente documentato». Materiali spesso di prima mano, ancora tutti da scoprire. Sui quali già crescono il volume secondo e terzo di questa storia economica e sociale: La città asburgica e La città italiana. Trieste oltre il mito, dunque, non solo città di capitani ma angiporto di avventurieri e puttane, osti, affittacamere abusivi, banditi e contrabbandieri. Un luogo scopre Heinichen di tremendi conflitti: città e campagna, comunismo e fascismo, mito e sviluppo, commercio e cultura. Dietro, osserva Giovanni Panjek, c’ è una lotta primordiale tra due anime antagoniste presenti sulla scena fin dagli albori: «quella speculativa e quella industriale». La prima, aggiungiamo noi, aggrappata alle elargizioni di Stato, alle rendite di posizione, al magazzino, e oggi strumentalmente chiusa nel mito zonafranchista. La seconda, aperta all’ industria, alla scommessa dell’ intrapresa, ai capitali che circolano, al dialogo con l’ oltreconfine. E’ una dicotomia paralizzante, che ancor oggi frena la forza autopropulsiva della città e ne guida, sommersa, gli eventi della politica e dell’ economia.

PAOLO RUMIZ

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