Indovina chi viene a cena?

Sabato 24 Marzo alle ore 23 sono Veit Heinichen è stato ospite di Radio24 e della giornalista Valentina Furlanetto per il programma Indovina chi viene a cena? che  dal famosissimo film parte dalla cucina e da un piatto in particolare per ritrovare il piacere conviviale della tavola e chiacchierare.

Con il libro Trieste, la Città dei Venti, Veit Heinichen scritto con la chef Ami Scabar aveva già avuto modo di dimostrare come le tradizioni culinarie non siano semplicemente un fattore alimentare ma una vera e propria miniera di cultura e civiltà, soprattutto nelle zone di confine in cui sono proprio i dialetti e le pentole a conservare le tracce di tutti gli uomini che si sono avvicendati nel territorio.

Indovinate voi cos’ho preparato io?

Per riascoltare il programma integrale in podcast andate sul sito di Radio24

Premio Selezione Bancarella 2014

premio selezione bancarella

Veit Heinichen con il romanzo Il suo peggior nemico (Edizioni e/o, 2013) vince il premio Selezione Bancarella 2014 che si contenderanno a luglio il premio letterario conferito dai librai, interpreti e mediatori del gusto dei lettori, alle opere italiane e straniere che abbiamo avuto successo di merito e di vendita. Il Premio Bancarella, nato nel 1953 nella città toscana di Pontremoli, è un riconoscimento importante per lo scrittore tedesco, che da diversi anni vive a Trieste, da sempre molto attento al mondo del libro.

Ringrazio gli amici librai per il loro impeccabile e instancabile lavoro, per essere sempre disponibili a mediare tra il mondo del lettore e quello dello scrittore ed essere in lizza per la vittoria del premio Bancarella è per me un onore”.

Il suo peggior nemico è l’ottavo romanzo del commissario Proteo Laurenti in cui indaga sul misterioso incidente di un alto papavero del Nord – Est che si schianta subito dopo il decollo del suo Cessna privato. La storia di ieri ritorna prepotentemente nel presente della famiglia Spechtenhauser in mondi complicati, multipli e soprattutto in cui nulla è mai come appare. Odi nazionalistici mai sopiti, traffici illeciti di medicinali e tecnologie di sorveglianza escono dalla penna di Heinichen, che indaga le pieghe recondite della società e della criminalità organizzata, mai del tutto indipendente dalla grande storia del passato.

Per ulteriori informazioni www.premiobancarella.info

 

Intervista per Genius Online

Il suo peggior nemico è il titolo del nuovo romanzo noir di Veit Heinichen, che sarà nelle librerie italiane dal 6 novembre. Ultima fatica dello scrittore tedesco, ormai naturalizzato triestino, racconta l’ottava avventura del commissario Proteo Laurenti alle prese con l’ingombrante morte dell’imprenditore Franz Spechtenhauser, ex senatore della Repubblica Italiana, saltato in aria sul su Cessna dalle parti di Prosecco una mattina di maggio.

Abbiamo incontrato Veit Heinichen per parlare del nuovo romanzo, del noir, della sua vita e della città che ormai è diventata sua, Trieste, e che ha fatto conoscere in giro per l’Europa.

Siamo ormai al tuo ottavo romanzo, non ti sei ancora stufato del Commissario Laurenti? Dopo un tentativo di ucciderlo qualche romanzo fa, questa volta gli hai affiancato un nuovo personaggio femminile. Chi è?

E’ una donna di nome Xenia Ylenia Zannier che ha una biografia molto particolare: è nata orfana la notte del 7 maggio del 1976 sotto le macerie di Gemona, durante il grande terremoto del Friuli, salvata grazie a un cesareo d’urgenza. Il primo vagito della vita di Xenia corrisponde all’ultimo respiro della madre. Il cadavere del padre verrà trovato solo qualche giorno dopo, ma la sua figura forgerà la vita della figlia per seguire le orme paterne diventa poliziotto. Cresciuta dalle parti di Oslavia e perfettamente trilingue, Xenia dopo la maturità si iscrive alla scuola di polizia di Trieste, prosegue a Padova e, dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, viene trasferita in Sicilia. Per l’avanzamento di carriera si sposta a Roma, dove avrà anche il suo primo incarico come commissario capo a Ostia, un luogo che ci ricorda del delitto Pasolini, di cui quest’anno c’è il triste quarantesimo anniversario.

Come mai l’idea di affiancare a Proteo Laurenti una donna ?

L’idea di Xenia è nata nel mio cervello qualche anno fa, affascinato dalla sua personalità borderline in tutti i sensi, perché soffre di una grave forma di claustrofobia che le impedisce di andare nei centri commerciali e che la obbliga a fare a piedi le scale, anche se si tratta di un grattacielo di trenta piani, perché non riesce a prendere l’ascensore. Sul lavoro riesce a tenere sotto controllo questo problema solo attraverso una ferrea autodisciplina e grazie all’adrenalina. E’ molto allenata ed è una grande lettrice di politica, sociologia e storia ma detesta i romanzi.

 Perché detesta i romanzi?

Per i suoi gusti i romanzi in circolazione sono troppo poco realistici, soprattutto quelli etichettati come “gialli” perché sono troppo distanti da quello che vede nel suo lavoro. Secondo lei i gialli sono favole della società moderna.

 E qual è la tua opinione sul romanzo giallo?

Per certi versi condivido la sua posizione, fin da bambino infatti non credevo alle fiabe, protestavo quando me le raccontavano e non capivo chi ci cascava. Tuttavia nel giallo ci sono diversi modi di avvicinarsi a questo genere. Io sono più interessato al noir in cui il racconto non è concentrato sulle solite tipologie di personaggi: delinquente, vittima, investigatore. Nel noir è il quarto gruppo il più importante, la società coinvolta nella trama. Tutti facciamo finta di non essere toccati dal crimine, mentre la società civile  non risolve niente voltando le spalle ai problemi e mettendo la polvere sotto il tappeto.

 E nel mondo reale c’è molta criminalità, quella non manca mai…

Oggi stiamo assistendo a una trasformazione e una modernizzazione del crimine molto rapida, al punto che è in costante aggiornamento. I delitti sono cambiati, si sono modernizzati, e riguardano anche l’ambiente legato alla finanza. C’è un legame sempre più stretto tra l’economia, la politica e la criminalità organizzata. Soprattutto quest’ultima non è più la folkloristica organizzazione nazionale del Padrino ma una multinazionale che non trascura nessun aspetto del mercato, e soprattutto è diventata assolutamente internazionale.

Qual è il tuo primo approccio ai tuoi romanzi ?

Io parto sempre da una ricerca approfondita degli argomenti toccati  dai miei romanzi perché, avendo come modello di riferimento la realtà, sento questo passaggio come un nobile obbligo nei confronti del lettore. Questo rispetto mi permette, oltre all’intrattenimento, di costruire con i miei lettori un legame di fiducia in cui essi possono considerare come reali i fatti politici, storici e criminali descritti. E magari ciò stimola in loro una riflessione e un approfondimento su determinati temi che rischiano di passare inosservati.

 Secondo te c’è differenza tra noir e giallo?

Il mio quadro di riferimento è il genere noir che si distingue fortemente dal giallo nel senso che nel giallo la narrazione inizia in un mondo in disordine, ma alla fine del romanzo tutto torna a posto. Nel noir è tutto completamente diverso, il cattivo non va sempre in carcere: per il genere noir l’inizio è un caos enorme, la fine un caos ancora maggiore. E di solito a questo punto per l’autore arriva il divertimento, ma talvolta anche la disperazione. Anche per questo motivo mi rifiuto di descrivere il mondo dei miei personaggi dall’alto della mia nuvola di narratore, voglio capire il mondo in cui vivo perché come romanziere il mio prodotto è sempre lo specchio di una società, di un’epoca e di un’area geografica: la mia si chiama Europa e fa parte del mondo ormai globalizzato.

Nel romanzo Il suo peggior nemico, che uscirà il 6 novembre nella traduzione italiana, troviamo anche un altro territorio oltre a Trieste. Qual è?

Ci sono tante terre coinvolte nella nuova trama, non solo il Friuli Venezia Giulia, ma anche la Baviera, l’Istria, una parte del litorale sloveno, una parte dell’Austria, e soprattutto il Trentino Alto Adige/Südtirol. Zone che hanno in comune il loro essere di frontiera e transfrontaliere con la consapevolezza di esserlo e con la necessità di confrontarsi con l’Altro nel corso della Storia. Il Trentino Alto Adige, in particolare, è il luogo in cui sono nati due personaggi del romanzo e ha in comune con il Friuli Venezia Giulia le sofferenze sotto i crescenti nazionalismi in Europa che sono culminati con i crimini avvenuti durante il fascismo e il nazismo. Ma i punti di contatto sono continuati anche dopo la fine della guerra con il comune abuso di argomenti nazionalisti da parte delle forze politiche estremiste. Ricordiamo che l’Alto Adige/ Südtirol era una tappa  importante della cosiddetta Ratline, la linea dei topi, da cui venivano fatti fuggire i più grandi criminali di guerra, tra cui anche Priebke, di cui non sappiamo ancora che fine abbia fatto il cadavere. E’ significativo che, come altri criminali,  anche lui avesse casa in Alto Adige. Queste fughe erano organizzate congiuntamente dai servizi segreti internazionali e il Vaticano, con il contributo di una parte della popolazione che rimaneva ostile e propensa al negazionismo. Ma veniva anche gestita da un grande governatore della Baviera, Franz Josef Strauss, morto nell’88, uno dei più corrotti politici tedeschi ma intoccabile che tramite una sua fondazione organizzava anche i finanziamenti ai Bombaroli del Südtirol.  Sotto la sua protezione c’erano anche alcuni campi di addestramento  fascisti, neofascisti, nazisti, neonazisti internazionali, dagli ustascia croati fino ai neonazisti tedeschi e neofascisti italiani.

E questi due personaggi?

Per loro l’Alto Adige è un punto di partenza, perché ormai entrambi hanno un’età intorno ai settant’anni e si sono trasferiti abbastanza giovani nella zona di Trieste e del Carso. Uomini  d’affari, uno è politico e senatore per il Volkspartei a Roma, che ha sempre cavalcato e abusato il tema dei nazionalismi e soprattutto del dolore e della paura della gente; l’altro invece è uno scienziato e un grande ricercatore. Insieme hanno creato un’azienda con sede a Bolzano e Washington che si occupa di mezzi di comunicazione, come ufficialmente li definiscono, in parole povere, invece, creano mezzi di sorveglianza e intercettazione, comprate da Gheddafi e altri tiranni nel mondo per sottomettere il popolo, e altre tecnologie che hanno acquistato anche gli americani, soprattutto l’NSA (National Security Agency, ndr). Uno dei maggiori scandali attuali è proprio questo: siamo diventati trasparenti grazie al business della comunicazione.

Uno dei temi che ricorre nei tuoi romanzi è il confine, condiviso anche a livello biografico con alcuni dei tuoi personaggi. Tu sei nato vicino al confine e hai girato il mondo, cosa vuol dire?

Io sono nato nell’estremo sud-ovest della  Germania, al confine con la Francia e la Svizzera, lì dove nasce il Danubio e poi per lavoro ho vissuto a Zurigo, Parigi e varie città tedesche. Ho fatto tredici traslochi nella mia vita. Ho vissuto in quattro paesi diversi, sempre per motivi diversi, quando ero editore, imprenditore e Trieste ormai è diventato il luogo a cui mi sento più legato. La mia vita è una predestinazione borderline: chi nasce vicino a un confine, subisce una differente formazione dell’anima diversamente da chi cresce in zone interne e, forse, più monotone dove c’è meno interscambio, meno contrasto, meno incontro. Noi a Trieste troviamo questa diversità tutti i giorni anche nei i piatti che mangiamo, in cui si mescolano le influenze europee. Inoltre più approfondiamo le nostre conoscenze sul cibo più scopriamo e impariamo sulla storia culturale di un territorio. Inoltre viviamo in una zona in cui camminando in città sentiamo parlare almeno due lingue. A Trieste la letteratura è sempre nata in idiomi diversi: il Rimbaud del XX Secolo Srečko Kosovel o Boris Pahor, Ivo Andrić, per undici anni ha vissuto qui James Joyce, c’era Sigmund Freud, poi i triestini Umberto Saba, e soprattutto Italo Svevo che non parlava sicuramente l’italiano di Firenze. O ancora un grande della letteratura del Novecento Bobi Bazlen, che scriveva le sue opere in parte in italiano e in tedesco; Stendhal, o Giacomo Casanova  che scrive in francese L’histoire de ma vie. Solo per accennare alcuni esempi.

Come definire quindi le identità di confine?

L’identità dei territori di confine non soddisfa tanto chi cerca un’identità chiara, coloro che ignorano che  la diversità è ricchezza. Questa identità è composta di tante identità diverse, in cui proprio tale diversità è fonte di arricchimento reciproco e definisce noi stessi. Anche le emigrazioni, che ci sono sempre state, rafforzano questa tesi: io inorridisco quando sento le parole “sono orgoglioso di essere italiano” oppure “Ich bin stolz, ein Deutscher zu sein”. Non è merito di nessuno. Si nasce in determinati luoghi per puro caso: chi nasce nelle zone di frontiera sa che è stato frutto di un accidente se la cicogna ha deciso di lasciarti da una parte o dall’altra del confine. Non c’è nessuna ragione di essere orgogliosi, soprattutto guardando tutti gli scempi che sono stati fatti nei secoli in nome dei nazionalismi e della megalomania. L’importante è conoscere ed essere consapevoli delle proprie radici, perché queste non sono modificabili, tutto il resto è esclusivamente frutto del nostro lavoro, della nostra esperienza, di cui eventualmente possiamo anche essere orgogliosi.

Prima citavi James Joyce, che condivide indubbiamente una passione con alcuni protagonisti dell’ultimo romanzo: il vino. Come mai questa attenzione particolare?

Vi racconto solo una delle scene del libro a titolo d’esempio: uno dei protagonisti di origine altoatesina Spechtenhauser muore in un incidente e da ex senatore e uomo di potere, Cavaliere come quell’altro, per lui vengono organizzati i funerali di stato nella Basilica di Aquileia a cui viene invitato tutto il mondo “che conta” e anche chi deve esserci per forza, per non perdere la faccia mancando all’evento mondano dell’anno. Durante la funzione, mentre anche l’ex premier tiene un discorso, due piccoli imprenditori un po’ zoticoni si annoiano e uno domanda all’altro ”ma poi di che cosa sarà morto, Spechtenhauser” e l’altro risponde “Gewürtztraminer!”

A proposito di incomprensioni, nei tuoi romanzi giochi molto spesso con gli stereotipi: quelli dei tedeschi sugli italiani e quelli, provati sulla tua pelle, che gli italiani hanno sui tedeschi. Cosa pensi degli stereotipi in generale?

Sono molto divertenti perché spesso sono lontani anni luce dalla realtà, altre volte invece fanno piangere perché sono scuse persistenti dietro ai quali ci si nasconde per non guardarsi bene da vicino. Solo nel pregiudizio rispetto all’Altro questi popoli si dimostrano uniti, in altre circostanze invece qualche lombardo puo’ anche essere molto seccato di essere italiano come qualche campano o qualche calabrese … o un bavarese in confronto di un prussiano… Con i clichés si vive superficialmente e si condannano gli altri perché la colpa non è mai propria, nessuno pulisce davanti alla propria porta, indipendentemente dalla nazionalità. Sono ridicoli, soprattutto se, come nel caso del Gewürztraminer, si riescono a inserire in un dialogo la cui comunicazione fallisce completamente a causa delle barriere linguistiche e culturali. Ancora una volta la zona di confine dimostra che le generalizzazioni e i cliché sono solo una perdita di tempo perché porta al cortocircuito e alla contraddizione in termini.

Quale importanza hanno secondo te le contraddizioni?

Secondo me sono fondamentali, per esempio se osserviamo da vicino la letteratura nasce sempre in luoghi ricchi di contrasti e contraddizioni. Se anche consideriamo le letterature nazionali, per esempio quella tedesca prima della caduta del muro di Berlino era una pomposa autoriflessione che troppo spesso culminava in masturbazioni mentali. Con le voci e le esperienze nuove dopo la caduta del muro è cresciuta una nuova letteratura, che ha accantonato l’eterna sega mentale rivolgendosi a discorsi maggiormente improntati alla contemporaneità e sicuramente di maggiore utilità. Anche il noir in questo senso ha conquistato terreno, convincendo molti. Certo non tutti, perché anche nei confronti di questa letteratura permane un cliché legato alla profondità della vasca da bagno in cui viene a volte avviene la sua lettura. Niente in contrario, la libertà di scelta è un diritto del lettore. L’importante è che, come tutti i cliché, anche questo può essere ribaltato in maniera banale: il noir è un genere molto più antico di quello che vogliono farvi credere. Non è nato nell’Ottocento,  il viaggio degli Argonauti e gran parte della mitologia greca hanno tutte le caratteristiche del genere. E, certo, se poi pensiamo che il Libro più importante della cultura occidentale inizia con un fratricidio e continua con un padre disposto a sacrificare il proprio figlio, pieno di truffe, cornuti, omicidi e traditori, ancora una volta viene suffragata questa tesi. La tradizione deve essere umana e deve far parte della natura umana anche l’accettazione dell’abisso che ognuno porta dentro di sé. La vita non è solo un idilliaco mondo di fiabe, nella realtà ci sono anche i peccati. E questi ultimi in verità sono il vero piacere tanto del lettore quanto del narratore.

Leggi l’intervista sul sito di Genius Online

La vibrazione nera – Intervista

Con Veit Heinichen il Mediterraneo si tinge di nero

Intervista con Luca Filippi per il magazine online La vibrazione nera che si occupa di noir, storia e mistero.

Come Veit Heinichen è diventato scrittore, perché ha scelto Trieste come sua città dopo diversi traslochi in giro per l’Europa e diversi mestieri svolti, Proteo Laurenti che nel romanzo Nessuno da solo è arrivato alla sua settima avventura nel malaffare del Nord Est, la scrittura e gli stereotipi di carta e in carne e ossa.

La strada che porta alla scrittura a volte è tortuosa. Veit Heinichen, per esempio, ha vissuto diverse vite in cui faceva altro, dal dirigente della Mercedes al libraio. Poi c’è stata una svolta e ha cominciato a mettere nero su bianco le avventure del suo personaggio, il commissario Proteo Laurenti.

Heinichen si è laureato in economia a Stoccarda, ottenendo una borsa di studio della Mercedes-Benz per la quale ha anche lavorato nella sede della direzione generale. Ha lavorato come libraio e ha collaborato con diversi editori. Dal 1997 vive a Trieste, una città di mare e di confine dove ha voluto ambientare i suoi romanzi, che sono tutti dei bestseller in Germania e Austria. A partire dal 2003 sono stati tradotti anche in italiano, olandese, francese, sloveno, greco, norvegese e spagnolo.

Il principale protagonista dei suoi libri gialli è la città di Trieste con le sue complessità, la bora, la sua multiculturalità. Di Heinichen abbiamo già parlato a proposito del suo primo romanzo I morti del Carso e della bella storia Danza Macabra.

Veit ha accettato di rispondere a qualche domanda per La vibrazione nera:

1) Trieste, crocevia di cultura ed etnie. Come è nato il suo rapporto con questa città e quando ha deciso che sarebbe diventata la costante ambientazione delle sue storie?

Città di Basaglia, città di confine. Era il 2 gennaio del 1980 quando la mia curiosità mi portava per la prima volta a Trieste, volevo vedere questa città il cui nome era famoso in tutto il mondo per quattro motivi: la sua fortissima crescita economica e demografica nel suo passato più recente dopo il 1719, e nel 20° secolo il destino di essere diventata la città a sud della Cortina di ferro, il motore della riforma psichiatrica ed evidentemente la vera capitale della letteratura mondiale poiché la letteratura è sempre nata in tante lingue diverse: italiano, sloveno, tedesco, inglese, francese, serbo, greco ecc. Grandi nomi da Casanova a Sigmund Freud, da Jules Verne a Srečko Kosovel,  da James Joyce a Italo Svevo, Umberto Saba a Ivo Andrić, Richard Francis Burton a Boris Pahor e Magris.

Il mio primo approccio fu troppo rapido per capire granché. Essendo una persona avida di sapere (un gran rompiballe come dice qualcuna a me molto vicino, uno che chiede spesso “perché”), allora sono tornato dopo poco, inconsapevole di quello che sarebbe successo in seguito tra me e questa città. Dico sempre che il destino era più forte di me. In verità ho conosciuto gente con cui siamo diventati amici, e  questo mi ha spinto a tornare più frequentemente, finché sono diventato pendolare tra le mie varie realtà professionali al nord delle Alpi (ero editore, dirigente e anche fondatore di famose case editrici internazionali). Le compagnie aeree ne hanno approfittato bene, non esisteva ancora il Low cost. E dopo anni in cui sono vissuto con due identità mi sono deciso per quella più libera. Ho mollato tutto nella grande “Crucconia”, cambiato lato della scrivania e ho cercato di dare spazio a una passione che avevo avuto già da piccolo: scrivere. Era un altissimo rischio e dovevo farlo sotto gli occhi dei miei ex-colleghi, in parte invidiosi e in parte diffidenti. Ma se non rischi, non vinci. Così Trieste fortunatamente è diventata definitivamente la mia unica casa. Finalmente sono diventato stanziale dopo tredici traslochi per motivi di lavoro in quattro paesi europei.

Come dimostra la storia della letteratura di Trieste sembra che sia quasi impossibile non scrivere qui. È il luogo di massimi contrasti, contraddizioni, confini e anche dei ponti tra di essi. Trieste è una grande fornitrice di materia prima, un incubatore di storie. Qui l’Europa è a casa, oltre novanta etnie hanno contribuito allo sviluppo della città – e anche al suo declino. Non poteva essere diversamente: la città stessa è diventata uno dei protagonisti dei miei romanzi.

2) Il protagonista Proteo Laurenti è un partenopeo trapiantato al Nord. Legato alla famiglia, ma allo stesso tempo fedifrago, persegue la giustizia con metodi a volte poco ortodossi. Quanto c’è di Lei in questo personaggio?

Il commissario non è il mio alter ego! Iniziamo col fatto che lui ha una professione ben diversa della mia, che lui ha qualche anno più di me e tre figli; io no, è nato a Salerno con quattro fratelli. Beh, anch’io sono nato nell’estremo sud dalla Germania (e qualcuno per questo mi ha definito “terrone tedesco”). Poi io sono nato vicino a due confini, in quel triangolo tra la Francia e la Svizzera, ho avuto un’altra formazione, ho studiato economia, ho lavorato nella mia prima vita nella direzione generale della Mercedes, poi sono diventato libraio e dopo ancora editore, scrittore. Laurenti ed io condividiamo poche cose: primo, frequentiamo gli stessi bar e ristoranti (ma quando lui entra io esco, sono stufo di pagare sempre il suo conto, lui beve tanto e molto bene), e poi entrambi veniamo da “fuori” Trieste, e questo significa che non siamo cresciuti con le abitudini e i tabù della città in un modo che ci lascia la libertà di porre domande che l’autoctono non fa. Poi, certo, la testardaggine e il senso di giustizia, la curiosità e la flemma, la caparbietà e lo scetticismo nei confronti dell’informazione, della falsificazione della Storia, dell’amnesia collettiva, la resistenza nei confronti di autorità false.

Alla fine Laurenti e io siamo costretti a collaborare, ogni tanto lo facciamo bene e con piacere, ogni tanto lui diventa stronzo e cerca di delegare tutto a me. Lì si creano baruffe anche toste.

Ma la differenza fondamentale è l’obiettivo del nostro lavoro: lui indaga per portare delinquenti dietro le sbarre, io effettuo ricerche non meno profonde ma per narrare quel ritaglio del mondo che riesco capire – come è sempre stato il ruolo del romanzo.

3) Il cibo triestino, anche se sullo sfondo, è costantemente presente nei suoi romanzi. Ci vuole spiegare il perché?

Non conosco proprio nessuno vivo che non mangi e non beva.

Come ho già accennato, oltre novanta etnie hanno lasciato le loro tracce in città, tutti quanti immigrati. Non esiste nessun albero di famiglia cosiddetto “puro” rispetto all’orgine triestina. E dove si rispecchiano le radici della gente? Nella cucina e nel dialetto. È una città di mare con il suo entroterra, il Carso  sta dietro casa. Abbiamo ogni volta l’imbarazzo della scelta tra piatti di mare o di terra. Il ricettario triestino è ricchissimo, ci sono influenze turche, meridionali, centro-europee, austriache, slovene ecc. Mangiare e bere a Trieste non diventa mai noioso o monotono.

E anche Laurenti e la sua famiglia lo godono, il figlio è apprendista cuoco nel più famoso ristorante di Trieste, da Scabar. Per altro con Ami Scabar, la chèf dell’omonimo ristorante, ho scritto un libro a quattro mani (“Trieste – Città dei venti”, Edizioni e/o) che è diventato un libro di viaggio, una storia culturale e culinaria che invita il lettore a un percorso in tutto questo contesto. La Storia degli ingredienti e della loro preparazione è la nostra storia e rispecchia la nostra cultura europea che si è miscelata nell’arco dei secoli, ma tutto è rintracciabile. A me piace imparare e godo di più se capisco cosa si trova sul piatto.

4) Il suo ultimo romanzo “Nessuno da solo” è incentrato su scandali internazionali che si intrecciano intorno al capoluogo giuliano. Come è nata l’idea alla base del romanzo?

È una città esemplare, un crocevia, tanto ogni cosa è concentrata qui e tutto quello che descrivo potrebbe succedere anche altrove. In una parte il ruolo di Trieste già predefinito dalla sua posizione geopolitica. Ci troviamo al centro dell’Europa, qui passa di tutto e di più.

“Nessuno da solo” si svolge intorno a tre fattori che sono sempre più dominanti nella nostra vita e fortemente legati tra di loro:

la falsificazione della Storia, il potere delle immagini (sia televisivi, fotografiche, internet) e la concentrazione europea/mondiale dell’informazione in poche mani con una manipolazione dell’opinione pubblica sempre più evidente.

Qui sia chiara una cosa: il problema generale non è la bugia ma la mezza verità. Se una notizia o una parte di un fatto viene omessa, il resto diventa la verità totale e la base della notizia di domani. Trattare il passato in questo modo, la Storia, i delitti collettivi (guerre, oppressioni, sfruttamento, genocidio), i crimini economici (ci troviamo in mezzo a uno mostruoso), porta a effetti disastrosi: amnesia collettiva, stabilizzazione di casta, il pericolo di ripetizione, smontaggio di leggi e del contratto sociale. Se poi il crimine organizzato, che è il più grande consorzio multinazionale, s’impossessa di grosse aziende, dalle banche ai media, la manipolazione concertata non si lascia aspettare. L’informazione perde la sua anima e diventa un altro fattore economico. Questa concentrazione pericolosa la possiamo purtroppo osservare in tutta l’Europa. L’intreccio tra politica, economia e crimine organizzato è evidente.

Il carattere delle città sta cambiando, se c’erano una volta il commercio, la produttività e la cultura come base per lo sviluppo, quest’ultimo può anche essere bloccato di proposito. A Trieste c’è gente che ha il sospetto che la ‘città di frontiera’ durante la divisione dell’Europa in due blocchi ideologici si sia modificata da parecchio tempo in una “città strategica” per altri poteri che non vogliono lo sviluppo perché porterebbe a una forma di golpe contro la casta che tiene tanto alla tranquillità. Dietro le quinte si muove molto di più.

Ma rimane sempre una città meravigliosa e civile con una qualità della vita molto alta, con una minima microcriminalità e con una massima densità di istituti finanziari. Honni soit qui mal y pense…

5) Nella sua produzione letteraria si è caratterizzato fortemente come Autore noir. Ci vuole spiegare i motivi di questa scelta: perché proprio la “crime story”? Si è mai cimentato con generi diversi?

Si, ho scritto un po’ di saggistica, storia culturale, ma quando viene pubblicato, spesso ho la sensazione che sia quasi sempre già superato della attualità galoppante.

Distinguerei tra “crime story” e “noir”. Esistono una marea di sottogeneri della “letteratura del mistero”. Da Agatha Christie alle sentenze in tribunale, dalla paranoia alla Stephen King fino alla Spy Story di Le Carré, dall’Horror o dalle storielle familiari fino ai veri peccati letterari o di fiction in ogni tipo di sceneggiato alla Derrick. Il Noir stesso è apparso la prima volta alla fine degli anni quaranta in Francia. Si distingue dai soliti “Who dunnit?”, quel genere che caccia solamente il cattivo per farlo fuori in qualche modo e garantire così il sonno tranquillo dei piccoli e grandi borghesi. Quando spengono la tv il mondo è di nuovo in ordine… Il noir invece non si limita a trattare esclusivamente i soliti tre gruppi coinvolti: il delinquente, la vittima e l’investigatore o inquirente. Perché c’è un quarto gruppo fortemente coinvolto. Noi tutti, la società che non è meno coinvolta, è la base di tutto. Su questo si interroga il genere del Noir, come tutti romanzi cerca di descrivere un’area e un’ epoca – e ha grandi libri della letteratura mondiale tra i suoi antenati: “Delitto e castigo”, “Il rosso e il nero” ecc. Ma c’è ancora una variante: il “Noir mediterraneo”. Ci ricordiamo del viaggio sanguinoso degli argonauti? O di un altro libro che è diventato la base della nostra cultura occidentale e che nella Genesi ci racconta di un fratricidio, Caino che uccide Abele. Un libro molto feroce in qui non mancano furti, incesto, tradimenti, cornuti, truffe, omicidi fino a bande a delinquere.

Direi che scrittori come Massimo Carlotto, Bruno Morchio, Petros Markaris, io stesso e tantissimi altri siamo solamente tornati alle radici. E purtroppo non viviamo nel mondo delle favole. Attualmente non esiste alcun altro genere per descrivere il nostro contesto odierno in modo migliore che il Noir mediterraneo.

6) Il suo prossimo romanzo? Ha già un’idea nel cassetto?

Il cassetto è vuoto, ho appena passato l’ultima stesura delle bozze. Uscirà a fine gennaio in tedesco e in prima estate in italiano. Il resto  lo tengo ancora per me.

Pubblicato da Luca Filippi 

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Intervista RadioUno

Veit Heinichen, giallista di fama internazionale, tedesco trapiantato da molti anni a Trieste, dove ambienta i suoi romanzi, a Start parla della sua città di adozione e presenta il suo libro “Nessuno da solo”.